È durato solo tre tappe il debutto di Diego Rosa alla Cape Epic. Il piemontese, l’anno scorso campione italiano marathon e quest’anno passato alla Torpado Kenda Factory, era in gara in Sudafrica in coppia con Casey South, ma è stato costretto al ritiro in seguito a una caduta nelle fasi finali della tappa di martedì, con arrivo a Saronsberg. Mercoledì mattina, Rosa si è comunque schierato ai nastri di partenza della terza tappa, ma il dolore al ginocchio lo ha presto costretto a fermarsi.
Diego, innanzitutto come stai?
«Tutto sommato non posso lamentarmi, direi abbastanza bene. La botta è stata forte ma poteva andare molto peggio, ho solo un ginocchio che mi fa male e per questo mi sono dovuto fermare».
Com’è avvenuta la caduta?
«La dinamica è stata abbastanza banale, in un tratto di strada non pericoloso. Mancavano solo 11 km alla fine della tappa, c’era un gran polverone e probabilmente la stanchezza non ha aiutato. Sostanzialmente non ho visto un canale al lato della strada e, in corrispondenza di un ponticello, la ruota davanti è finita dentro un fossato, per cui la bici si è impuntata e ho fatto un bel volo sulle rocce. Andavo ad altissima velocità, per cui avrei potuto avere conseguenze ben peggiori».
Mercoledì mattina, comunque, ti sei presentato al via della terza tappa.
«Avevo già dolore, ma speravo che scaldandomi un po’ la situazione sarebbe migliorata. La gara era già compromessa, ovviamente, ma ho scelto di prendere il via proprio per valutare le mie condizioni. Purtroppo il dolore aumentava invece di diminuire, e dopo 45 km mi sono fermato, perché avrei rischiato di peggiorare le cose in un contesto in cui tanto ormai non avrei potuto lottare per le prime posizioni».
Cosa ti resta, quindi, di questa prima esperienza alla Cape Epic?
«Sicuramente ho imparato tanto e questo vale anche per la squadra, perché era la prima volta anche per loro. Devi abituarti a una routine completamente diversa dal solito, prendere un ritmo tutto nuovo. Il terreno qui è molto polveroso e davvero sconnesso, non me l’aspettavo così, abbiamo forato più volte per spine enormi che finivano addirittura per toccare il telaio, tanto erano grosse. È un terreno particolare e molto esigente, per cui bisogna arrivare preparati. Nelle prime tappe io e Casey ci preoccupavamo di un po’ di tempo perso, ma in realtà i distacchi dopo qualche giorno diventano enormi, si vedono crisi esagerate, volano i minuti. Poi c’è il fattore caldo che non va sottovalutato, l’idratazione è fondamentale, avevamo portato qui un secondo portaborracce ma alla fine abbiamo optato per il Camelbak. Insomma, tutti aspetti che non puoi conoscere finché non li provi».
Questi insegnamenti, comunque, potranno essere utili per i prossimi anni.
«Certo, voglio tornare e soprattutto cercare di fare bene. La Cape Epic è più complicata di quello che pensavo, ma è anche bellissima, la più affascinante corsa a tappe per chi fa marathon. Quest’anno è girato tutto male, ed è brutto tornare a casa senza niente in mano, soprattutto considerato l’investimento che la squadra e gli sponsor hanno fatto per venire qui. Ma corro in bici da tanti anni e ho imparato che fa parte del gioco: quando succedono queste cose, basta resettare tutto e ricominciare».
A proposito, quando ti rivedremo in gara?
«Starò ancora fermo qui qualche giorno, poi tornerò in Italia e ricomincerò gli allenamenti. So che il 14 aprile la squadra sarà impegnata su un doppio fronte, ci divideremo tra Garda e Salento: a seconda di quale sarà la mia condizione, deciderò dove tornare in gara. Ma la data è sicuramente quella: non voglio stare una mese senza correre, ho un bellissimo tricolore da mostrare e non vedo l’ora di farlo di nuovo».