Fruet al suo ultimo assoluto di cross country: «Non so se qualcun altro sarà capace di correrne trenta»

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Martino Fruet, ai mondiali di Mtb in Val di Sole, dove ha partecipato alla gara dell'e-bike
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Martino Fruet, immortale biker trentino che nel lontano 2000 conquistò anche una tappa di Coppa del Mondo in Messico, domenica 21 luglio spegne 47 candeline. Come regalo di compleanno, il giorno prima l’azzurro prenderà parte al suo trentesimo campionato italiano assoluto di cross country. Traguardo che Fruet inseguiva da tempo.

«Tutto è partito quattro anni fa, quando puntavo correre il trentesimo tricolore di cross country fila. Solo che nel corso di quella stagione mi sono rotto un polso e ho messo un po’ a riprendermi. Lo scorso anno si era nuovamente presentata questa possibilità per raggiungere l’ambita quota trenta, ma la sfortuna ha voluto che cadessi e mi rompessi la spalla poco prima. Questo agognato trentesimo italiano sembrava stregato, ma quando l’organizzatore mi ha rivelato che quest’anno si sarebbe svolto a Pergine Val Sugana, ossia sulle strade di casa mia, ho subito capito che questo sarebbe stato lo scenario migliore devo correre il mio ultimo campionato assoluto agonistico».

Gira voce che questa potrebbe essere la tua ultima stagione in cross country. Poi solo e-bike. Corretto?

«No. O meglio ancora non ho deciso. L’e-bike è una disciplina nella quale da ormai un paio di anni mi cimento e che mi piace molto. Ho fatto secondo dietro Marco Aurelio Fontana alla prima edizione dell’assoluto italiano, ho già due mondiali sulle spalle e quest’anno sto correndo la mia terza edizione dell’all around, il giro a tappa della Valle d’Aosta per MTB elettriche. Ma ci sono ancora poche gare per questa categoria e non penso che mi basterà. Io solitamente faccio 45/50 corse l’anno. Quelle per l’e-bike in Italia saranno 10/15. Un divario troppo grande da affrontare da una stagione all’altra. Vero eh che a fine stagione mi scade il contratto quest’anno e sia con la squadra (la PR Trentino A.L.E., ndr), sia con gli sponsor, non abbiamo ancora parlato. Molto dipenderà anche da come si risolveranno queste dinamiche».

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Martino Fruet in azione durante la seconda tappa di All Around eMTB Race Bosch ePowered 2022 (credit: Photo © Morgan Bodet)

Una certezza, però, l’abbiamo: non ti vedremo sicuramente dedicarti alle marathon. Come mai non ti piacciono?

«Questa è una grande verità. Non mi vedrete sicuramente ripiegare sulle marathon, perché quelle non mi hanno mai preso. Io sono sempre stato per le corse veloci e possibilmente molto tecniche. In passato ho anche corso e vinto gare importanti come la 100 Km dei Forti. Però non mi hanno mai divertito. Specialmente quelle italiane, perché sono molto facili e poche tecniche. Ho sentito parlare bene di molte marathon estere, ma rimangono comunque noiose come concetto. Diverse sono le gare lunghe che faccio adesso con le e-bike. Parliamo di 2700/2800 metri di dislivello, ed è già un altro paio di maniche. Piuttosto preferisco il ciclocross dove anche lì le corse durano ore, ma sono tutti tratti dove devi saper guidare la bici per andare avanti e non solo essere un buon atleta».

Dopo una carriera talmente lungo da esser iniziata “nell’altro secolo”, cosa ti spinge a continuare a correre?

«Sicuramente il poter vantare questo primato è una risposta (scherza Martino, ndr). Pensare di aver corso con le 26” è follia per i giovani d’oggi. L’altra è la multidisciplina. A differenza di tanti colleghi io ho sempre corso tutte le discipline. Enduro, gravel, marathon, cross country, ciclocross, e-bike e chi più ne ha più ne metta. Quindi ho conosciuto ambienti diversi, ho trovato motivazioni e stimoli diversi che mi hanno spinto a continuare anno dopo anno. Anche perché sono sicuro che se avessi fatto solo marathon e gare di Coppa del Mondo avrei smesso da una vita. Invece, a 46 anni suonati, sono ancora qui e quest’anno ho vinto una gara regionale di enduro contro i ventenni, dopo un anno che non toccavo quella bici».

Torniamo a questo weekend. Si corre dalle parti tue. Ci racconti il percorso?

«Il tracciato è molto bello, ma anche abbastanza semplice. Lo conosco bene. Basta pensare che un tratto è proprio quello che faccio tutti i giorni quando esco in bici. Abito a 500 metri dal Castello, ma non sarà un grande vantaggio, perché Pergine è una tappa famosa e molto richiesta del calendario italiano. Oltre che spesso si corrono qui i campionati italiani. Devo però dire che rispetto alle passate edizioni sono state fatte quattro/cinque modifiche. Ad esempio sulla discesa principale, che è sempre stata un single track, quindi si è sempre scesi in fila indiana, da quest’anno è stato introdotto un altro single track parallelo di uguale lunghezza e difficoltà. L’obiettivo era quello di permette a chi è più veloce di fare dei sorpassi anche in quel tratto. Oppure è stata introdotta una parabolica alta a tre metri prima dei box. In questo caso è più scena che altro. Non è un passaggio tecnico, ma semplicemente arrivi giù da un drop, monti sulla parabolica, ovviamente ci sarà quello che sale due metri e quello che sale mezzo metro, ma alla fine la fan tutti».

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Fruet e Righettini, organizzatore dei campionati assoluti di quest’anno, con la maglia tricolore (www.newspower.it)

Quali sono le principali difficoltà?

«Io penso che a sparigliare le carte potrebbe essere il meteo. Perché Pergine, soprattutto nella prima parte, è un percorso molto naturale, tutto radici. Non è un bike park come ormai si usa oggi. Quindi se piove il terreno si infanga molto e un biker con un po’ di pelo potrebbe prendersi qualche rischio nel primo tratto e guadagnare molto».

Si tratti di un percorso molto diverso da quello olimpico, che invece è tutto artificiale. Quali preferisci?

«Io sono molto contrario ai percorsi artificiali e penso siano state proprio le olimpiadi a dare il là a questi tracciati indegni. Tutti artificiali. Io però, da biker di vecchia scuola, non li sopporto proprio. La MTB è la bici che usi fuori dalla porta di casa. Quindi che tu voglia fare un percorso tecnico lo condivido. Però dopo chi è che ha il park fuori dalla porta di casa? Il problema è che le Olimpiadi sono proprio l’apoteosi di questo trend. Lì è tutto artificiale. Ma ti dirò questa volta mi fa proprio rabbia. Perché ricordo quelle di Londra 2012, dove feci il test del percorso. Era situato su una collina liscia come l’olio. Non avevi niente ed è logico che ti tocca costruirlo. Immagino ci sia stata una situazione simile a Tokyo. Ma in Francia è pieno di percorsi belli e storici tutti naturali. Dove sta l’esigenza di costruire una cosa finta? Perché è più spettacolare? Forse in tv vendi di più, ma rovini il resto. Credo che un buon compromesso l’abbia trovato Val di Sole. Mezza gara del tracciato nel bosco, con radici e basta, e l’altra metà nel bike park».

Passiamo ai pronostici. Quali sono i tuoi favoriti per la maglia di campione italiano?

«Andiamo con ordine. Venerdì sera, per il titolo di campione italiano di e-bike, il favorito numero uno è Mirko Tabacchi, subito dietro io. È vero che rispetto a Mirko ho il vantaggio di correre in casa, ma lui quest’anno è andata veramente molto forte quest’anno. Per le donne, invece, il nome è solo uno: Anna Oberparleiter. Ha vinto gli ultimi quattro italiani e non so chi possa batterla».

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Martino Fruet in azione sul percorso dove si svolgeranno i campionati italiani di cross country a Pergine Valsugana, nel suo paese natale

Passando al sabato, quali sono i tuoi nomi?

«Qui le cose si complicano. La logica mi dice che chi è stato convocato per le Olimpiadi dovrebbe essere più forti e in informa degli altri. Quindi sulla carta i favoriti sono Luca Braidot e Simone Avondetto per gli uomini e Martina Berta e Chiara Teocchi per le donne. Però questo campionato è particolare, perché arriva a una sola settimana dalla prova olimpica. È quindi facile che chi andrà a Parigi questa settimana abbia fatto l’ultimo di lavoro di rifinitura, con l’idea di culminare all’italiano e poi fare tutta la settimana in recupero. I quattro ragazzi, quindi, potrebbero arrivare molto stanchi e scarichi, vista anche la lunga e pesante stagione alle spalle. Questo potrebbe favorire gli esclusi alla gara a cinque cerchi e che invece hanno l’italiano come unico obiettivo nel breve e posso averlo preparato meglio».

Tra questi chi vedi meglio?

«Nadir Coledani potrebbe essere un nome interessante. Nelle ultime uscite di Coppa del Mondo ha mostrato di avere una condizione in crescita e potrebbe avere i numeri per mettere la bici davanti a tutti. Il percorso, inoltre, si addice anche alle caratteristiche di Pippo Fontana, che in Coppa del Mondo patisce molto il fatto di partire dietro, ma ha un bel motore. Discorso simile vale anche per Gioele Bertolini. Se uno guarda solo i loro tempi vanno molto forte, solo che iniziando nelle gare internazionali spesso pagano dazio i primi due giri e poi non riescono a recuperare. All’italiano, però, partono in prima fila e quindi posso dire la loro. Nella lista inserisco anche Juri Zanotti e Daniele Braidot».

Mentre per le donne?

«Qui le cose cambiano. Perché abbiamo visto per tutto l’anno che le ragazze che hanno un altro passo sono quattro: le due olimpioniche più Greta Seiwald e Giada Specia. Non vedo altre bikers che potrebbero giocarsi la vittoria».