Tre anni fa le Olimpiadi di Tokyo ci raccontarono il dominio della Svizzera nella mountain bike: quattro medaglie disponibili su sei furono loro. Addirittura le tre medaglie femminili furono tutte svizzere, un record che non si potrà più ripetere con le nuove regole (che prevedono un numero massimo di due atleti per nazione). Quest’anno però Parigi ci racconta tutta un’altra storia su come la mountain bike oggi è più internazionale (e meno dominata) che mai.
Il podio maschile ha visto Tom Pidcock sul gradino più alto, di nuovo, Victor Koretzky sul secondo gradino e Alan Hatherly sul terzo. Tutti hanno parlato dell’incredibile bis di Pidcock, unico biker insieme ad Absalon ad aver conquistato due ori olimpici, e del grande risultato di Koretzky, beniamino dei tifosi francesi lungo il percorso. Quello che però è sfuggito a molti è il risultato storico raggiunto da Alan Hatherly: ovvero portare una nazione non europea sul podio olimpico maschile della mountain bike. Non c’era mai riuscito nessun altro: né Tinker Juarez (statunitense, argento mondiale nel 1994), né Roland Green (canadese, argento mondiale nel 2000 ed oro mondiale nel 2001 e nel 2002), né Ryder Hesjedal (canadese, argento mondiale nel 2003), né Burry Stander (sudafricano, bronzo mondiale nel 2010). Da quando il cross country fa parte delle Olimpiadi (1996), nessun atleta non europeo era mai riuscito in un’impresa del genere. Mai. Che stavolta questa statistica, sconosciuta a molti, sarebbe stato cambiata era nell’aria: Alan Hatherly stava volando questa stagione, Samuel Gaze (dopo l’argento mondiale a Glasgow) ambiva all’oro ed altri outsider (come Vidaurre) stavano facendo molto bene. Ma un conto sono i pronostici, un conto sono i risultati. E che il podio non europeo sia avvenuto proprio a Parigi, quindi nel vecchio continente, è probabilmente ancora più sorprendente.
Nella mountain bike femminile invece la presenza di una non europea (Haley Batten) sul podio non è una novità, anzi. Già nel 1996 ad Atlanta, quando a vincere fu Paola Pezzo, sugli altri due gradini del podio c’erano una canadese ed una statunitense. Nel corso degli anni è quasi sempre stato così tranne nel 2008 a Pechino e nel 2021 a Tokyo. Le Olimpiadi in Giappone ci dimostrarono che la Svizzera era non solo la nazione da battere nel mondo della mountain bike, ma che gli elvetici erano i dominatori di questo sport. La foto del podio tutto svizzero nella prova femminile fece il giro del mondo, un dominio impressionante, quasi sconcertante. Tre atlete su tre portate a Tokyo sul podio, una cosa difficile in qualsiasi sport, figuriamoci nella mountain bike dove una foratura oppure una giornata no sono problemi all’ordine del giorno. Quest’anno però è stato tutto l’opposto: nessun atleta svizzera è arrivata sul podio e nessuna è mai stata in grado di avvicinarsi ad esso. Neanche il ritiro di Loana Lecomte e la foratura di Puck Pieterse hanno regalato alla Svizzera qualche chance di medaglia. Da una parte l’assenza di Jolanda Neff si è sicuramente fatta sentire, dall’altra da Sina Frei ci si aspettava di più che un semplice ventunesimo posto. Ma la vera delusione è stata Alessandra Keller, prima nel ranking mondiale e dominatrice delle prove di Coppa del Mondo di quest’anno. Lei è stata la vera sorpresa (in negativo) della nazionale elvetica quest’anno. Se anche il primo posto sembrava difficile per via della presenza di Pauline Ferrand-Prevot, gli altri due gradini del podio non sembravano (e non sono stati) così irraggiungibili.
Il tema della delusione della Svizzera alle Olimpiadi unisce però sia la prova maschile che quella femminile. Dalle quattro medaglie su sei conquistate a Tokyo, stavolta la nazionale elvetica torna a casa con zero medaglie. Un record negativo che non si vedeva dal 2004 per gli elvetici, ovvero dall’ultima Olimpiade a cui Schurter non ha partecipato. Da lui e da Fluckiger, per quanto riguarda la prova maschile, ci si aspettava di più. Se però il risultato non è stato comunque davvero deludente (entrambi in top 10 con Fluckiger vicino al podio), faranno discutere forse le scelte della federazione che ha deciso di non portare Filippo Colombo (in grande forma e così senza esperienza olimpica), portando così due atleti su due che probabilmente non saranno a Los Angeles nel 2028.
Di sicuro tra il podio maschile non completamente europeo e la delusione della Svizzera una cosa è sempre più chiara: anche la mountain bike sta diventando via via sempre più internazionale.