Individuare il profilo fisico ideale per un ciclista è da sempre un esercizio affascinante quanto complesso. Se nel ciclismo su strada, almeno fino a qualche anno fa, esistevano e si potevano delineare alcune tipologie di atleti abbastanza riconoscibili (dallo scalatore minuto, al passista/cronoman potente, al velocista massiccio, passando per i vari intermedi) oggi anche in quel mondo le categorie si confondono. Ma in linea di massima su asfalto resta ancora possibile tracciare delle tendenze. E qui nasce la domanda: e nella Mtb?
Anche nella mountain bike, facendo ovviamente riferimento al caro Cross Country, esistono differenze tra chi eccelle: c’è chi predilige la salita e chi è favorito nei percorsi più esplosivi (ad esempio nell’XCC), o chi i percorsi più tecnici con molto da guidare. Ma nel complesso il biker contemporaneo dev’essere un atleta completo, capace di unire potenza, agilità, tecnica e resistenza. E, a differenza della strada, avere una determinata corporatura è forse maggiormente un elemento discriminante in termini di rendimento. Non esistono denominazioni comunemente utilizzate per definire un atleta, forse anche per questi motivi: il biker è il biker, punto.

Osservando il circus della Coppa del Mondo, emergono alcune costanti interessanti dal punto di vista fisico. La maggior parte dei rider d’élite si colloca tra i 170 e i 180 centimetri di altezza. Con qualche eccezione oltre la media come Aldridge, Blevins, Cink o Valero, ma poi anche Braidot, Colombo e Sarrou e così via. Mancano invece, almeno ai vertici, biker particolarmente minuti, sotto il metro e settanta. Seppur anche qui con qualche eccezione: basti pensare al bi-campione olimpico Tom Pidcock o alla rivelazione di questo finale di stagione 2025, Filippo Fontana, entrambi poco sotto quella soglia.
Questa omogeneità diffusa è una coincidenza? Ovviamente no. Più probabilmente il frutto di un’evoluzione precisa della disciplina. Il Cross Country moderno richiede oggi un’elevata potenza assoluta, non solo un eccellente rapporto peso/potenza. Le gare sono sempre più brevi, esplosive (oltre che tecnicamente impegnative). Per questo atleti di statura media o anche grande (sempre più diffusi?), e dunque dotati di più massa muscolare e maggiore forza complessiva, sono avvantaggiati rispetto ad atleti minuti, a parità di capacità. Sotto una certa soglia, dunque, si fa fatica.

Naturalmente, tutto va bilanciato. Nei percorsi più nervosi o ricchi di salite ripide, la leggerezza e la capacità di muovere la bici con agilità restano fondamentali (anche se percorsi duri duri sono sempre più rari). A conferma, dove c’è tanta salita, ad esempio nel Marathon, i più “scalatori” in determinati contesti emergono, così come i più “passisti” in altri. Ma in un contesto variegato come quello delle lunghe distanze sotto certi punti di vista è forse più facile vedere somiglianze con il modo della strada, più che con il formato olimpico o altri.
Insomma, nell’XC ad oggi sembra esserci spazio per un solo profilo ideale, o poco più.










