Stretching Mtb: perché è fondamentale se ricerchiamo la perfezione

Johanna Holzmann (foto: Wheel Bree/Red Bull Content Pool)
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Da quando ci innamorati della bicicletta, il nostro tempo libero si è concentrato negli allenamenti. Come in tutti gli sport di resistenza, anche la bici infatti per dare dei benefici in termini di performance, richiede tanto tempo e sacrifici per allenarsi. Tuttavia in pochi si concentrano nella cura del dettaglio. Già, quelle cose che sembrano apparentemente scontate o superflue incidono invece tantissimo nel lungo periodo in quello che è il nostro rendimento fisico. Uno di quei particolari apparentemente superflui è lo stretching. Da qualche anno, la medicina sportiva riconosce all’arte dell’allungamento muscolare, un’efficacia indiscutibile, sia nella prevenzione delle malattie osteo-articolari, sia nella prevenzione degli infortuni, sia nella terapia riabilitativa.
Gli atleti che praticano quotidianamente sessioni di stretching, hanno minore incidenza di traumi e migliore capacità del gesto atletico. In altre parole, più un muscolo è capace d’allungarsi più è capace di contrarsi, più è capace di contrarsi, più è capace di sviluppare forza.

Richiede tempo e pazienza


Ma lo stretching non è tutto uguale, anzi. Se fatto male o con poco tempo a disposizione rischia di essere un lavoro quasi inutile. Fare 1 minuto di esercizi prima o dopo l’allenamento serve? Poco o niente, se non a sgranchirsi un po’. Ma quando farlo se usiamo tutto il nostro tempo a disposizione per pedalare? Semplice, bisogna ottimizzare al massimo il tempo libero non pensando solo alla bici e alla fatica, ma anche ai dettagli e ai benefici di una pratica utile come lo stretching. Il tempo dedicato infatti è un vero e proprio allenamento di pari importanza alla bici. Mezz’ora di esercizi quindi non sono mai sprecati o tolti alla bicicletta, ma sono parte di un vero e proprio programma di training. Negli anni, sono nate numerose tecniche che, pur proponendo lo stretching come elemento base, si differenziano sostanzialmente nell’approccio. A seconda della dinamica utilizzata si possono definire diverse tipologie di stretching.

Stretching Balistico

È un allungamento che in genere non viene utilizzato nei centri sportivi e nelle palestre perché è pericoloso in quanto sollecita il riflesso miotatico inverso. Trattasi di un riflesso incondizionato che induce il muscolo a reagire con una rapida contrazione, rendendo alto il rischio di trauma muscolo-tendineo. Il metodo dello stretching balistico è molto semplice ma alquanto “Doloroso”. Si arriva in posizione di massimo allungamento e poi si tenta di andare oltre questa posizione con un movimento brusco e violento. Utilizziamo questa tecnica se vogliamo spingere un’articolazione oltre la possibilità di escursione. Soprattutto all’inizio è bene praticarlo con la supervisione di un esperto.

Stretching dinamico

Lo Stretching dinamico è quello più comune di tutti tra gli atleti. Si fa prevalentemente in griglia di partenza e prevede movimenti la cui escursione articolare aumenta progressivamente, così come la velocità d’esecuzione. Si utilizza prevalentemente nel riscaldamento, infatti con oscillazioni controllate, si arriva dolcemente e progressivamente ai limiti della propria capacità di escursione articolare. Lo stretching dinamico serve a riscaldare un muscolo o un gruppo di muscoli e a mobilizzare le articolazioni su cui questi passano, inoltre migliora la flessibilità dinamica, motivo per cui è particolarmente adatto ad essere inserito nella fase di riscaldamento di un allenamento.

Stretching statico passivo

È il sistema di stretching più conosciuto e simile allo yoga (da cui la pratica prende spunto).
Nello stretching statico, si prende una posizione che sia possibile mantenere senza dolore. Questa posizione dev’essere raggiunta lentamente, in modo da non stimolare nei muscoli antagonisti il riflesso miotatico inverso.
Raggiunta la posizione, questa va mantenuta per un tempo che va da 15 a 30 secondi, o finchè non si sente calare la tensione d’allungamento, dopodichè si aumenta la tensione stessa, e la si tiene per altri 15-30 secondi, e via dicendo.
In questo tipo di pratica non si molleggia e non si stimola il dolore, ma è un costante lavoro. Può essere preceduto da stretching dinamico per riscaldarsi. La posizione per questa pratica è fondamentale.

Stretching statico attivo

Lo stretching statico attivo prevede posizioni di grande ampiezza articolare, il cui mantenimento avviene solo grazie alla forza dei muscoli agonisti (addominali, braccia, gambe).
Lo stretching attivo aumenta la flessibilità attiva e rafforza i muscoli agonisti. Gli allungamenti attivi sono di solito piuttosto difficili da tenere per più di 10 secondi e raramente c’è il bisogno di tenerli per più di 15 secondi.
Un esempio lampante di Stretching statico attivo può essere un corso di Pilates e vari forme di Yoga. Quando dicono che a Yoga non si fa fatica, non credetegli…

Stretching isometrici

P.N.F

Deriva dalle parole inglesi “Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation” che in italiano significa “facilitazione propriocettiva neuromuscolare”.
Questo sistema di stretching è diviso in 4 tempi:

  • Si raggiunge il massimo allungamento del muscolo in modo graduale e lento;
  • Successivamente si esegue una contrazione isometrica per circa 15/20 secondi (sempre in posizione di massimo allungamento);
  • Poi si rilassa il muscolo lungo isometricamente contratto, per circa 5 secondi;
  • Infine si allunga nuovamente il muscolo (contratto precedentemente) per almeno 30 secondi.

Questo tipo di stretching, viene usato molto nella terapia riabilitativa e, in molti casi, richiede l’intervento di una seconda persona.

C.R.A.C.

Deriva dalle parole inglesi “Contract Relax Antagonist Contract” che in italiano significa “contrazione, rilassamento e contrazione dei muscoli antagonisti”. È simile al P.N.F., da cui si differenzia nella fase finale dell’allungamento. Prevede, infatti, l’intervento attivo (contrazione) dei muscoli agonisti del movimento. Anche in questo caso è spesso necessario l’aiuto di una seconda persona che offre la resistenza durante la contrazione isometrica degli antagonisti, e che aiuti l’allungamento degli antagonisti nelle fasi di contrazione degli agonisti. Sfruttando l’inibizione reciproca, il C.R.A.C. somma all’efficacia del P.N.F., quella dello stretching attivo.

Allungamento muscolare

Per questa pratica è necessario avere un attrezzo chiamato pancafit®, che tiene in allungamento la catena muscolare posteriore, mentre è possibile eseguire esercizi d’allungamento specifici per altre catene. Non si lavora quindi solo su zone specifiche ma su intere catene. La catena posteriore (o lombare), essendo antigravitaria, è coinvolta in tutte le stazioni, eccetto quella sdraiata, per questa ragione è la più potente ed è anche la più retratta.
In definitiva i muscoli sono collegati l’uno con l’altro dalle fasce che avvolgono i muscoli e dal tessuto connettivo, che a sua volta avvolge ogni componente del corpo. Perchè è così importante? Perchè quando uno dei nostri muscoli ha una contrazione da stress, trauma o postura scorretta, provoca un’azione sull’intera catena muscolare, la quale disturberà inevitabilmente tutta la struttura muscolo-articolare.
Pancafit® (che si usa con l’aiuto di un esperto) è una panca che si chiude verso l’interno e manubri per allungare catene muscolari di braccia e gambe. Il tempo di lavorazione varia da qualche minuto fino a oltre 30 minuti