In Germania ha dovuto ricostruire la sua vita da zero. Imparare la lingua, integrarsi, lavorare, finanziare i suoi sogni. Questa è la storia di Mohammadreza Entezarioon, 31 anni, che parteciperà ai mondiali di Glasgow con la squadra dei rifugiati. Lasciò l’Iran, aveva 23 anni. «Il passato è andato. Ora voglio godermi il presente e guardare avanti», sorride lui. Faulkner diceva che il passato non ci abbandona mai. E anche se Reza oggi è un biker che ha trovato una sua dimensione, ogni attimo ha contribuito a renderlo un uomo più forte. Quando le immagini del coraggio delle donne iraniane hanno fatto il giro del mondo, Reza era lì con il cuore. E quando hanno arrestato alcuni biker, pure lui si è fatto promotore della libertà. «Non dobbiamo tacere», ha detto. Due settimane fa si è sposato. E adesso il mondiale. «Due momenti salienti della mia vita in due settimane», ha scritto su Instagram. Reza racconta che «volevo avere l’opportunità di dimostrare le mie abilità». Voleva correre in bici, arrivato in Germania provò a chiedere sostegno alle squadre professionistiche. Candidature respinte. «E’ stato difficile accettarlo, ma non mi sono arreso». Oggi lavora in un bike shop, ai clienti dà consigli preziosi. E poi ovviamente fa le gare. Reza è l’unico atleta della Mtb della squadra rifugiati sostenuta dall’Uci, gareggerà nel marathon e nell’XCO.
Correrai il mondiale, a che cosa pensi?
«È stato il mio sogno da bambino. Ho sempre pensato che un giorno avrei gareggiato in una squadra professionale e che avrei partecipato alla Coppa del Mondo e ai mondiali. Sono molto felice di poter realizzare parzialmente questo sogno quest’anno».
E da unico atleta mtb della squadra rifugiati…
«Sì, sento anche la responsabilità per questa cosa. Voglio competere al massimo delle mie possibilità. Mi sento molto onorato di far parte della Squadra dei Rifugiati e di contribuire al successo del gruppo».

Cosa rappresenta per te la bicicletta?
«È una parte inseparabile di me e della mia vita. È la mia passione. Tutto qui. È molto».
E come l’hai incontrata?
«Fin da bambino ero interessato allo sport e al ciclismo. Prima di iniziare a dedicarmi appassionatamente al ciclismo, ho praticato taekwondo e calcio. Ma ero sempre in giro con la mia bicicletta, e questo ha significato molto. Dall’età di 14 anni ho scoperto la mia passione per la mountain bike».
Hai un modello?
«Sì, come tutti. Sono stato un fan di Julien Absalon e Jose Antonio Hermida fin da giovane».
Perché la mtb?
«A dire il vero mi piace anche la strada. La Mtb offre più avventura e sfide nella natura. Vengo da un’area dell’Iran dove ci sono molte montagne. Sono stato invitato nella squadra nazionale iraniana di mountain bike per la prima volta quando avevo 17 anni e da allora mi sono concentrato di più sulla mountain bike. Però amo anche la strada».

Cosa ti manca dell’Iran?
«L’Iran è la mia casa. Ho sentito la mancanza di non sentirmi straniero, ma di sentirmi a casa. Ho sentito la mancanza delle mattine in cui andavo ad allenarmi con i colleghi di squadra sulle montagne di Teheran e delle escursioni selvagge in montagna con gli amici. Ho sentito la mancanza di celebrare le festività in famiglia come il Nowruz, il Capodanno iraniano».
Lì cosa hai lasciato?
«Quando lasci il tuo paese e arrivi in un nuovo posto, una nuova terra, lasci qualcosa alle spalle per ottenere qualcosa di nuovo. Ho lasciato parte del mio cuore lì. Significa la mia famiglia, gli amici e l’Iran tutto».
Pensi di poter tornare un giorno?
«La speranza c’è sempre».
Come si vive la resilienza delle donne in Iran dal tuo punto di osservazione?
«Le donne iraniane sono molto coraggiose, forti e determinate. Sono sicuro che se fossero libere, potrebbero raggiungere molto di più nella loro vita».
E lo sport è strumento di libertà…
«Certo, lo sport è libertà e una fonte di motivazione e ispirazione. Il mio messaggio per tutti coloro che hanno una visione è che non dovrebbero arrendersi e non dubitare, ma fare ciò che li rende felici e li tiene motivati nella vita».
Della tua storia cosa ci puoi dire?
«Non molto. La mia storia personale come rifugiato e atleta in Germania non è stata facile. Mi ci è voluto molto tempo per poter creare le basi per affrontare lo sport in maniera competitiva nella mia vita attraverso il lavoro. Ma al momento voglio solo concentrarmi sul presente, il futuro e le mie gare».
Com’è lavorare in un bike shop?
«Molto bello. Aiuto i miei clienti a prendere la decisione giusta. Dedicherò sempre il tempo per dare consigli onesti e competenti e condividerò le mie conoscenze con loro, e sarò felice quando lasceranno il negozio soddisfatti e contenti».
Come immagini il tuo futuro?
«Brillante e positivo. Ho molti obiettivi nonostante il mio lavoro a tempo pieno, mi alleno con disciplina e regolarità. Voglio far parte di una squadra professionale in futuro e gareggiare in grandi corse. Vorrei fare del ciclismo la mia carriera».