Con Jacopo Billi tutto ha il ritmo giusto. La musica, la mtb, la vita. «Qualcosa in comune tra la musica e la mtb c’è: con il sentiero e il pezzo perfetto raggiungi un attimo in cui non pensi più a niente. È una combo devastante e bellissima». Vive seguendo il suo tempo, Jacopo. Approdato alla Metallurgica Veneta Mtb Professional Team, la nuova squadra dello sponsor tecnico Cannondale a cui si è legato per due stagioni, l’atleta piemontese, 29 anni, adesso vuole trovare la sua continuità. «Pochi obiettivi, ma mirati. E ovviamente ambiziosi. Spero di fare un salto di qualità». La squadra di Martino Tronconi può dunque contare su uno che la mtb la sa dominare, e che vuole raggiungere traguardi di qualità. «Mi piacerebbe performare bene agli Italiani in Sicilia – racconta Billi –, mi piace correre al mare, al caldo. Lì sogno il podio. Voglio essere completo, essere sul pezzo per tutta la stagione. Cerco una costanza».
Perché ha lasciato la Scott?
«Alla base di tutto c’è sempre la parte dell’atleta. Ma ho cambiato principalmente perché ho la mia idea in testa legata ai social e alla mia immagine. Alla Scott sono molto attenti, sì. Ma stavo cercando un piano ben definito. Alla Metallurgica Veneta ho visto un interesse ancora più alto. L’idea è produrre contenuti. Per me, per il piacere personale di farli. Ma anche per un interesse reciproco».

L’immagine conta. E in mtb anche di più?
«A volte questo ambiente è timido, di nicchia. Che è anche il bello della mtb. Altre volte, però, i giovani guardano i dettagli. Quindi portare sui social quello che fai può influenzare i ragazzi. È dura far capire al mondo quanto sia bello il nostro sport. Ma è importante. La parte atletica, come ho detto, viene prima di tutto. Però gli sponsor arrivano anche se c’è una buona immagine».
Cose le hanno lasciato le due stagioni alla Scott?
«Abbiamo lavorato alla crescita del team. Io e gli altri compagni ci abbiamo messo del nostro. Qualcosa si era fossilizzato, c’era una routine un po’ troppo schematica. Ho anche visto come si lavora in un’azienda unica nel panorama italiano. Spesso le squadre sono di natura famigliare, privata. Lì no. Per me è stata una crescita».

Si è definito l’Ibrahimovic della mtb.
(ride) «Perché è uno che ha cambiato tante squadre, che ha l’aria di un mercenario, ma il calcio non lo seguo. Il riferimento era solo per quello».
Lei perché ha cambiato così tanti team?
«Stimoli nuovi, nuove esperienze. Non sono un mercenario. Nei team in cui sono stato mi sono lasciato sempre bene, con una stretta di mano. E spero di farmi voler bene anche in questo. Mi piace tenere gli equilibri giusti, se ci sono discussioni le affronto. Non è sempre tutto rose e fiori. A volte sono tabù di cui si parla poco».
Ha detto di avere una testa nuova, perché?
«Negli ultimi cinque mesi sono successe un sacco di cose, e tutte insieme. Mi sono lasciato con la mia ragazza, stavamo insieme da quattro anni. Ho cambiato casa, non vivo più a Torino. Ho cambiato preparatore e metodi di preparazione. E team, ovviamente. I cambiamenti sono arrivati in un colpo. Forse sono più leggero, vediamo se tutto questo si riflette anche in mtb».
Quanto conta la testa del suo sport?
«Vado controcorrente: la testa conta, ma penso sia il tassello conclusivo per finalizzare la condizione che uno ha. Senza testa non si va da nessuna parte. Però c’è da dire che non è l’aspetto primario, la base deve essere una buona preparazione, una buona condizione, Quando stai bene diventa fondamentale avere la testa. Con la testa non pedali, ci vogliono le gambe».
È questo che vuol dire andare in mtb?
«Per me vuole dire correre. Mi piacciono la natura e lo sport. Ok. Ma non so quanto andrei in bici se non facessi le gare. Per me andare in bici vuol dire fare fatica. Anzi, è trovare la fatica, la stanchezza. Tutto questo è collegato alle gare, se non ci fossero le gare sperimenterei altro».

Non è un peso la fatica?
«È un peso nel momento in cui la senti, ma dopo due giorni in cui non fai nulla io la devo andare a cercare, devo avere la stanchezza, il bruciore alle gambe. È come un droga».
A chi si è ispirato?
«Manuel Fumic, lui è sempre stato il mio riferimento. Poi ho idoli come Valentino Rossi, Jordan, e tanti tanti altri. Mi piace molto osservare, capire».
Cosa guarda?
«Tutto, i minimi movimenti che fa un atleta. Mi viene in mente Djokovic, quello che fa. Mi piace leggere le biografie sportive, ne ho lette moltissime. Da “Open” di Agassi in giù. Prendo gli aneddoti, gli spunti su come hanno lavorato. Cerco di capire come fanno, e di imitarli».
Se lo ricorda come è finito sulla mtb?
«Sì, a 5 anni. Mio papà, Roberto, correva con le enduro, c’era una garetta e mi ci ha portato. Un caso, non è stata una cosa di famiglia. Mia mamma fa la contabile in un’azienda, papà si occupa di automobili. Loro mi hanno sempre supportato al massimo. Senza muovermi mai una critica. Sono fortunato».
E il primo approccio se lo ricorda?
«Ho due immagini: la prima bici che ho usato, rosa e bianca, che papà trovò da qualche parte in una discarica in Inghilterra. E poi la prima gara. Eravamo in un prato, io con una maglietta tipo polo, i pantaloni lunghi, non capivo da che parte andare. Era così un po’ per tutti. I genitori ci dicevano ehi, fai così, vai così».

Ripensa mai a quella spensieratezza?
«Sì, la ritrovo spesso nel momento che mi piace di più in mtb. A fine distanza, quando fai sei ore in sella, e c’è la luce bassa, sul tardi, magari con un po’ di musica nelle orecchie e sei nel bosco. Lì mi dico: sono venticinque anni che corro, ma la sensazione è sempre la stessa».
Quale?
«Di libertà, di leggerezza. Vale sei hai trent’anni o se ne hai quindici o soltanto sei. Quel momento c’è sempre».
Suona?
«La chitarra. Da più dieci anni. Ma in modo veramente scarso (ride ndr). La vendevano alla Lidl, a 49 euro. Me la comprò mia mamma. Ho imparato un po’, diciamo che la suonicchio. Più tardi mi sono comprato l’acustica».

La musica l’accompagna sempre.
«Sì, ne ascolto tanta. In mtb ascolto anche tantissima robaccia (ride ndr), cioè da giovani tipo rap, trap. Anche Gigi d’Agostino. Ho fatto anche un video per il mio canale YouTube, uscirà presto. Parlerò delle mie playlist. Ne ho una per ogni situazione: quella per focalizzarmi prima della gara, quella per il warm-up, e quella bella incazzata. L’ho chiamata «cattiveria», serve per caricarmi. C’è qualche pezzo di Salmo, un po’ di hardcore, della techno pesante. Va bene, ok: ho gusti discutibili».