Giacomo Perone (24 anni) e Andrea Incarbone (25 anni) sono due amici che come tanti altri hanno diversi interessi in comune: gli scout, l’avventura, il campeggio e la bicicletta. Un giorno hanno deciso di unire insieme tutte queste passioni, dal quale è uscito un viaggio incredibile (che è ancora in corso): da Torino ad Adelaide in bicicletta.
Raccontateci la vostra storia: come vi siete conosciuti? Come siete arrivati all’idea di viaggiare in bicicletta?
«Incontro è avvenuto al tempo degli scout (al gruppo Agesci Torino 6), abbiamo legato molto fin da subito e abbiamo fatto tutto il percorso insieme. Proprio agli scout abbiamo fatto il nostro primo viaggio in bici insieme. L’occasione fu quella della route di Pasqua del 2019, che organizzammo insieme sulla ciclovia del vento, ovvero la ciclabile che unisce Torino a Venezia. Ovviamente i nostri compagni ci hanno odiato e tutt’ora ce lo rinfacciano, perché nessuno era allenato e facemmo 450 km tutti in sella a una bici. Il percorso era però ben organizzato in varie tappe, chiedevamo ospitalità ad altri gruppi scout o alle parrocchie e arrivammo tutti fino in fondo».
Così è nata la vostra passione per i viaggi su due ruote?
«Sì. Dopo questa esperienza eravamo super esaltati e ci siamo detti perché non provare a fare l’Italia in bici? Da Torino, dove abitiamo, a Palermo. All’inizio sembrava una cosa assurda, ma iniziando a organizzare ci siamo sempre più convinti di potercela fare. Così, nell’estate del 2020 abbiamo raggiunto la Sicilia in una ventina di giorni. Quello è stato realmente il momento in cui abbiamo capito che anche viaggiare facendo lunghe distanze era possibile. Impegnativo e duro, ma divertente. Quindi ci siamo detti: dobbiamo provare a fare una cosa più in grande».
Così arriva l’idea del giro del mondo?
«Sì. A quel punto ci siamo chiesti quale fosse l’impresa più grande che potessimo raggiungere e quale fosse il punto più distante del pianeta da raggiungere partendo da casa nostra. La risposta fu il sud dell’Australia: Adelaide. Allora iniziammo a preparare il viaggio da Torino ad Adelaide, sfruttando anche il fatto che Giacomo ha una parte di famiglia che vive lì (i fratelli di suo nonno hanno messo radici in Australia), ma che non ha mai conosciuto. Diciamo che era ora di fargli visita».
Come si è sviluppata la preparazione del viaggio?
«Per prima cosa ci serviva mettere da parte dei soldi. Abbiamo quindi iniziato a fare gli inventari nei supermercati la notte, anche perché durante il giorno andavamo ancora a scuola e non potevamo lavorare. Poi ci siamo fatti costruire le bici da un negozio (Ciclo Groucho) gestito da un ragazzo che conoscevamo a Moncalieri. A quel punto mancava solo la data della partenza. Per la tipologia di viaggio e per evitare di portare troppi abbigliamenti dietro contro il maltempo, la finestra temporale migliore era partire in primavera. In questo modo ci saremmo trovati ancora in Europa durante la stagione dei monsoni e delle piogge in Asia. Mentre, una volta arrivati in Oriente, il clima sarebbe dovuto essere più secco».
Il primo tentativo di partenza è però saltato per un grande impedimento.
«Era tutto pronto per partire a marzo del 2021. A gennaio, però, viene diagnosticato un tumore alla mamma di Andrea. Quindi la partenza viene rinviata per permettergli di stare in famiglia e soprattutto vicino alla madre in quel brutto periodo. All’inizio era stato tutto posticipato all’anno dopo. Purtroppo, il tumore era metastatico e la mamma di Andrea è stata costretta a cambiare terapie ogni tre/quattro mesi. Questo ci impedì di raggiungere una stabilità che ci permettesse di partire con serenità. Dovendo così rinviare ogni anno a quello successivo».
In mezzo arriva quindi un’esperienza più semplice, corretto?
«Si. L’anno scorso, in un periodo in cui mia madre faceva una terapia endovenosa abbastanza potente (ci ha rivelato Giacomo, ndr) e che conteneva i marcatori tumorali stabili, abbiamo deciso di partire per 53 giorni (dal 10 di marzo al 3 di maggio) e raggiungere Capo Nord, in Norvegia. In totale abbiamo fatto 4200 km. Questo viaggio ci è servito per consolidare il nostro sogno che, non dico che stava svanendo, ma si stava annacquando col passare del tempo».
Ad aprile di quest’anno c’è stata la grande partenza?
«Sì. Il 20 di novembre del 2023 mia madre è venuta a mancare, dopo 4 mesi duri e nel quale la sua situazione di salute si era aggravata molto. A quel punto Jack è venuto da me e mi ha detto: tua sorella si sposa il 26 di aprile del 2025, quindi abbiamo questa finestra di poco più di un anno per fare questo viaggio. In un primo momento gli dissi di no, perché avrei voluto passare il primo anno con mio padre e la mia famiglia. Però, superati i primi mesi, ne abbiamo parlato di nuovo con le nostre famiglie e ci siamo convinti a partire. Il 21 aprile 2024 abbiamo dato inizio, sempre da Torino, a questo nostro sogno».
Quale è stato il vostro percorso fino ad ora?
«Una volta attraversato tutto il nord d’Italia siamo sconfinati in Slovenia, per poi passare: Croazia, Bosnia, Serbia, Bulgaria, Grecia, Turchia, Georgia, Russia, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kyrgyzstan e Cina. In questo periodo stiamo pedalando in Pakistan, ma a giorni entreremo in India. Da lì ci aspettano Nepal, Tibet e una seconda parte della Cina, per poi finire con un fantastico giro dell’est asiatico. Quindi: Vietnam, Laos, Cambogia, Thailandia, Malesia, Singapore, Giacarta e Indonesia fino a Bali. Lì prenderemo un traghetto verso il nord dell’Australia e sbarcheremo a Darwin. Una volta nella terra dei canguri ci attenderanno gli ultimi 3000 km nel deserto australiano. Meta finale: Adelaide».
Qual è il posto più bello che avete visto fino ad ora?
«Abbiamo visto tantissimi posti stupendi e paesaggi mozzafiato. Però l’altopiano del Pamir (in Tagikistan) è stato senza dubbio il più incredibile. L’abbiamo attraversato non dal versante della Wakhan Valley, che è la strada più famosa, ma prendendo la Bartang che spacca proprio a metà la montagna. È stato bello anche perché lassù non prende niente. Abbiamo trascorso 15 giorni senza internet, tutto sterrato, a più di 4000 metri. È stato incredibile. Senza dubbio l’esperienza più unica e naturalistica che abbiamo vissuto fino ad ora».
Tra i luoghi che invece dovete ancora attraversare, qual’è quello che vi incuriosisce di più? E quale quello che vi mette un po’ di ansia?
«Fino ad adesso, onestamente, l’ansia era tutta concentrato sull’attraversamento della catena dell’Himalaya. Ora che stiamo scendendo da essa e che la parte dura è alle spalle, forse ti diremmo l’ingresso in India. Sarà la prima volta per entrambi in un paese del sud-est asiatico e sappiamo che hanno usanze e culture molto diverse dalle nostre. Sarà quindi un’esperienza molto bella, ma allo stesso tempo non semplice. Mentre per quanto riguarda la curiosità è tutta sul deserto australiano. Uno dei più grandi al mondo. Sarà una sfida dentro la sfida».
Qual è la più grande difficoltà che ci si para davanti quando si affronta un viaggio del genere?
«L’ostacolo maggiore, in viaggi come questo, è la lingua. Ad esempio, quando torneremo in Cina, attraverseremo una regione molto isolata del paese, come lo Xinjiang. In questa zona nessuno parla inglese. Solo il cinese, che però per noi è una lingua incomprensibile. Le scritte dei cartelli sono tutte in cinese o al massimo arabo. Quindi non sarà facile comunicare. È un territorio che proprio non conosce per niente l’occidente. Inoltre, la Cina in generale, è uno stato molto militarizzato. Quindi anche soltanto spostarsi è un problema: registrazioni continue, fermi della polizia più volte al giorno, etc…».
In questi viaggi i visti, però, sono sempre un problema se uno non se li procura prima.
«Assolutamente, quello che si risolvere burocraticamente da casa è sempre meglio farlo prima e partire attrezzati. Ad esempio, in Pakistan non ti fanno fare il visto per l’India. Se non l’avessimo fatto prima di partire il nostro viaggio si sarebbe fermato qui. Quello per la Russia idem. Però sono l’unico vero ostacolo secondo noi. Tutto il resto, dal materiale per riparare la bici, all’attrezzatura per il meteo o altro, sono tutti aspetti che impari e migliori strada facendo e che soprattutto si possono recuperare durante il viaggio».
Chiudiamo rivelando che il vostro bellissimo viaggio è accompagnato da un’altrettanto splendida iniziativa.
«Sì. Insieme alla nostra avventura è partita anche una raccolta fondi per sostenere la ricerca contro il cancro insieme alla Fondazione Veronesi. Il nostro viaggio è dedicato a Silia, la mamma di Andrea, e ci sembrava coerente aprire questa raccolta fondi su un tema a noi così caro. Oltre che si tratta di un messaggio sociale molto importante da trasmettere».
Se volete seguire il viaggio Giacomo e Andrea, i due stanno documentando tutta la loro avventura sul profilo Instagram: @centoventuno_121 Per sostenere la loro causa: https://insieme.fondazioneveronesi.it/campaign/biking-against-cancer/?fbclid=PAZXh0bgNhZW0CMTEAAabRPels7alGUn57u6KIb1Zgx6ENa8Luu1un3qG2y_fmta5JdZpAw3ifjt8_aem_TaK3WR3GZBx1w0k1BqmSJg