MONDIALI 2023 / Storia di Tom Pidcock, nato per la mountain bike (parte 3)

Tom Pidcock impegnato sul tracciato di Albstadt (foto: Bartosz Wolinski)
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E insomma a Tokyo c’era andato. Nel 2012, ai Giochi di Londra, era un bambino che faceva parte del pubblico a bordo strada. «Nel Regno Unito ma penso anche in qualunque altro paese, tutti sono interessati alle medaglie. E lo sanno tutti, non solo le persone che sono fan di quello sport». Aveva avuto un primo assaggio di un evento multisportivo durante l’European Youth Summer Olympic Festival 2015 a Tbilisi, in Georgia. Ma essere a Tokyo lo aveva elettrizzato. «È abbastanza surreale. Essere qui con tutti gli altri atleti è bello, eravamo con ginnasti, canoisti, è stato fantastico guardare le persone e cercare di capire quale sport facessero».

Meno di due mesi dopo quella caduta in discesa, Tigger era al via della corsa olimpica. Partito dalle retrovie, aveva guadagnato 26 posizioni nel primo giro, si era rapidamente spostato in testa e non aveva mai perso il comando, chiudendo con 20 secondi di vantaggio sullo svizzero Mathias Flueckiger. Oro. Il primo pensiero, quando gli avevano messo un microfono davanti, era stato per casa sua. «So che mia madre e la mia ragazza staranno piangendo da ore, vorrei dire loro che tornerò presto». Non era mai stato così lontano da casa per una corsa. Dopo essere diventato immortale, Tigger autografò la maglia, la mise in cornice e la portò a quell’altro Superman, il chirurgo di Girona che era intervenuto sulla sua clavicola. 

Pidcock non è mai stanco di sfide. Ha detto che vuole provare il Downhill. Ha confessato che prima o poi vorrebbe testarsi nella Red Bull Rampage, la gara di freeride estremo più dura e più spettacolare del mondo che si corre allo Zion Nazional Park di Virgin, nello Utah. «Prima devo andare a vedere, ovviamente, perché in tivù sembra tutto molto più piccolo di com’è nella vita reale. Mi piacerebbe, ma non so se la correrò mai: più invecchi, meno cose stupide fai. Solitamente almeno». Altro sogno proibito: la Dirty Kanza 200, dove 200 sono le miglia da fare, Kanza è il Kansas e Dirty sono le strade, fatte di polvere, gravel e sassi. 

L’impatto di Pidcock sul circuito della mtb Elite è stato impressionante, e lui lo spiega con la sua leggerezza. «Penso che il mio peso sia importante. Durante la stagione sono sotto i 60 chili. E poi ci sono le mie capacità tecniche naturali. Posso saltare e scendere velocemente, anche se non l’ho fatto per due anni». I filmati che condivide sui social sono lì a dimostrarlo: le sue discese da brividi, le acrobazie, i salti. 

È innegabile che Tigger abbia la naturale capacità di immergersi nelle estremità più lontane del suo sport. «Le corse su strada sono sicuramente la disciplina più competitiva nel mondo del ciclismo, ma a livello fisico sono più adatto alla mountain bike». Le piste attuali di Cross Country sono molto tecniche, ma «tendono a diventare tutte uguali, con tante strutture costruite dall’uomo e salti. La mia preferita rimane ancora Nove Mesto, forse anche perché è lì che ho vinto per la prima volta una gara di coppa del mondo di mtb». Continua a usare la sella di sempre, ma trova che quelle stampate in 3D siano «una tecnologia molto interessante con un grande potenziale futuro». E ovviamente usa il reggisella telescopico, «dato che ne ho uno, lo uso. L’anno scorso è stata la prima stagione in cui l’ho usato, ma ora non riesco a immaginare di gareggiare senza averlo».

Il suo obiettivo dichiarato di quest’anno erano i mondiali di mtb. Ha saltato anche la gara iridata su strada per dare tutto nella mountain bike. «L’anno scorso mi sono ammalato la settimana prima. Sono comunque arrivato quarto, cosa di cui sono piuttosto stupito, ho appena finito ed ero completamente vuoto, mentalmente e fisicamente. Quest’anno ci tenevo molto, soprattutto per il fatto che si correva a Glasgow. Ma sono anche concentrato sulle Olimpiadi del prossimo anno. Voglio difendere il mio titolo».

Un conto è vincere, un altro è diventare immortali. «Dopo Tokyo, ho realizzato che i Giochi trascendono il ciclismo. Ho sempre voluto vincere i Mondiali su strada o il Tour de France – anche il Tour è enorme – ma le Olimpiadi di più. A nessuno importa da dove viene la medaglia. Non importa se hai giocato a ping pong o hai tenuto in equilibrio una palla sulla testa. Una medaglia d’oro è una medaglia d’oro. E tutti lo sanno. Questo è ciò che lo rende speciale». Per cominciare sono arrivate le due medaglie di Glasgow: il bronzo nello short track e il magnifico oro nell’XCO. Campione di tutto. O, come ama dire lui, nato per la mountain bike.

FINE

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