Visto che «nella mtb può sempre succedere di tutto», Daniele Braidot si tiene in equilibrio tra l’orgoglio e l’ambizione. Lo fa anche se la classifica generale è ormai roba sua (è a +30 da Simone Avondetto, secondo). Daniele sa bene che il super appuntamento dell’8 luglio a Chies d’Alpago, tappa fine delle Internazionali Series, ha troppe spine. «Vincere il titolo è uno degli obiettivi della stagione – racconta Braidot -, ma a livello di carriera non cambierà tantissimo. Sto bene, mi piacerebbe fare il colpo. Farò attenzione perché saltare per aria è un attimo. Gestirò, e magari starò sulla difensiva». Hanno cambiato il percorso, lo hanno reso ancora più frizzante. Ma lui, 32 anni, atleta CS Carabinieri, ne ha viste abbastanza per preoccuparsene. «Pare ci sia un fango assurdo, bello».
Come si studia un percorso che si conosce poco o nulla?
«Qui ci ho corso tante volte. Non credo sia stato rivoluzionato completamente. Il tempo per studiarlo non c’è, venerdì (7 luglio ndr) c’è lo short track. Vediamo. In generale un percorso lo studi bene, con attenzione, per correre nella maniera più sicura, per fare linee che ti permettono di risparmiare. E restare in sicurezza, evitando le cadute».
Tu sei uno che studia molto?
«Mi piace molto la fase della prova del percorso e ci dedico anche abbastanza tempo. Ho trovato ottima la figura che abbiamo in nazionale, Matteo Berta, che gira prima di noi, lo fa per ore, e vede le linee. Perdi meno tempo rispetto a una volta perché non stai a cercare da solo ogni linea».
Sei molto preciso?
«No, per niente, non sono uno super preciso. Anzi, il contrario. Lascio in giro le cose. L’ordine in generale non mi corrisponde. Sono un caos totale. Come mio fratello Luca. Quando si andava via insieme, anni fa, era sempre un casino. La nostra camera era sempre in disordine».
E nella mtb è un vantaggio o no?
«Cerchi di preparare tutto al meglio, ma non ci sono tantissimi margini su cui lavorare. Si fa il massimo da ogni punto di vista».
Il massimo è stato raggiunto in Mtb. A Val di Sole abbiamo visto grande pubblico. La mountain bike è entrata nel futuro?
«Con l’ingresso di Warner è stata fatta una scelta più grande, si guarda avanti. C’è più attenzione ai dettagli. C’è un tipo di immagine superiore. L’idea è rendere la coppa del mondo mtb tipo una F1».

Da dentro come si percepisce?
«In gara non c’è più un punto morto nel percorso, la gente è dappertutto. E’ un passo avanti gigantesco. Però, essendo il nostro un piccolo team, si sta rimarcando sempre di più la differenza tra i team ufficiali e quelli minori. Fanno scelte che mettono in croce team più piccoli. Forse lo vogliono far diventare uno sport di nicchia, super professionale. E’ un cambiamento, non dico sia una cosa negativa. Io mi sono trovato in difficoltà nei box, specialmente a Leogang. In Val di Sole è stato più soft. Con l’andare avanti forse verrà perso l’aspetto tranquillo che contraddistingue la mtb».
Se ti guardi indietro che Daniele vedi?
«Ero più spensierato. Prima andare in bici era più un gioco, poi è diventato tutto più professionale. A un certo punto, quando anche gli altri sentivano l’importanza di un risultato, ho capito che non si stava più giocando. Non c’è stato un momento. E’ stato un percorso. A noi ci hanno lasciato crescere con calma. Per i giovani di oggi è diverso».
Tra te e Luca c’è competizione?
«No, boh. Da quando siamo in squadre differenti no. Fuori dalle piste no, la competizione più grande è sempre stata quella nello sport. Ma non ho mai subito il confronto. Penso che abbia stimolato tutti e due, se siamo cresciuti è per tutti e due».
Ti sei mai arrabbiato con lui?
«Oh, come no. Ma robe piccole. Siamo fratelli, ma qualche volta ci si arrabbia».
Se ti proietti in avanti cosa c’è?
«Non so quanti anni correrò ancora. Tutto questo inizia a essere impegnativo con la famiglia. Essere poco a casa mi pesa. Sono cresciuto tanto, sono tornato ad andare forte quest’anno. L’obiettivo sono le Olimpiadi, ma con tutti i giovani che ci sono adesso non so come andrà. Non sarà facile».
La famiglia prima di tutto.
«Ho moglie e un bambino che ha 3 anni. E’ nato in piena pandemia, nel 2020. Ed è stato un casino. E’ nato a maggio, all’ospedale io non ci potevo entrare. Mi hanno fatto entrare all’ultimo: avevo passato sette ore in macchina nel parcheggio. Ma almeno per raggiungere l’ospedale non c’era traffico».
Cos’è l’Olimpiade per te?
«La ciliegina sulla torta. Sono rimasto fuori due volte. Per poco. L’ultima anche per colpa del covid. Avevo saltato un anno. Mi piacerebbe, arrivarci alla mia età sarebbe incredibile».