ESCLUSIVA / Lo yogurt, il calcio, l’ossessione dei freni. Greta Seiwald si racconta: «Amo la bici. Ho passato un periodo brutto, la mia stagione inizia ora»

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L’amore ha molte forme. Ma un’unica grande luce. La potete vedere negli occhi di Greta Seiwald, 26 anni, l’atleta della Rockrider Racing Team, squadra supportata da Decathlon, ogni volta che la sentirete parlare della mtb, dello sport, della maglia azzurra. «La bici per me è amore, è tutto. Altrimenti non farei quello che faccio. Se fai una cosa volentieri ti resta addosso per tutta la vita». Dopo il secondo posto a Chies d’Alpago, finalmente Greta ha ritrovato il sorriso. E la gamba. Il suo è un anno pieno di salite e di discese. Più simili a quelle della vita che agli ostacoli del cross country. L’avvio di stagione non in linea con le aspettative, i cambi di allenatore, le mezze rivoluzioni: tutto è alle spalle adesso. «Per me era veramente importante fare bene agli Internazionali – racconta -, il secondo posto mi ha dato un po’ di fiducia in quello che faccio. Ma l’inizio dell’anno l’ho sbagliato. Ho sbagliato la preparazione. Infatti due settimane fa ho cambiato tutto: preparazione e preparatore. E vedere subito i risultati mi fa dire: “Posso andare forte”. Sono felice di aver trovato la strada».

Come si vivono questi momenti?
«Alla Rockrider mi trovo benissimo. E’ stata la scelta perfetta per me dopo cinque anni fantastici in Santa Cruz. La rifarei mille volte. Però non avevo pensato abbastanza bene al cambio di preparatore. Ero seguita da uno svizzero, durante l’inverno con lui mi sono trovata molto bene. Io abito in montagna, c’è la neve per tanti mesi e non riuscire a pedalare ogni giorno non è sempre facile. Una volta iniziate le gare è mancata la comunicazione. Ho sbagliato anch’io a non dirgli cosa non funzionava, come stavo sulla bici. Dopo la gara di Coppa del Mondo in Svizzera ho parlato con la squadra, con il team manager, con i miei genitori, con gli amici. Tutti mi vedevano triste, stressata. In bici non stavo bene. Quando inizio ad avere dei dubbi su qualcosa devo cambiare».

Cosa hai cambiato?
«Tante cose. Il mental coach, per esempio, che prima non avevo. Lavorare con lui mi ha fatto capire che quando ho dubbi su qualcosa, su una persona nella mia vita, è sempre meglio risolvere le cose. Farlo subito. Basta parlare». 

Quanto conta la testa nel tuo sport?
«Tantissimo. Due settimane fa ho cambiato il preparatore. Ora mi segue Berry Austin. Lui è sudafricano, ma durante le gare di Coppa del Mondo gira in Europa. Per lui la comunicazione è veramente importante. Anzi, è la cosa più importante. Abbiamo fatto solo un allenamento intenso. Quello che abbiamo cambiato davvero è la comunicazione, il parlare delle mie sensazioni».

Ci vuole grande feeling.
«Sono una persona che ha bisogno che qualcuno le dica brava, hai fatto bene, oppure no, qui puoi migliorare eccetera. Lui lo fa, ha capito questa cosa di me. In due settimane ho avvertito tante cose positive da parte sua, così tanto che mi hanno fatto andare più forte agli Internazionali».

Ha preso una nutrizionista?
«Sì. Ma l’unica cosa che la nutrizionista ha cambiato davvero sono i latticini. Niente yogurt. Niente mozzarella, grana, formaggi. Con il grana faccio fatica (ride ndr). E’ un po’ difficile, ma ce la faccio (ride ndr)».

Senti un’energia diversa?
«Prima di questi accorgimenti, capitava di sentirmi lo stomaco appesantito, pieno. Anche quando mi allenavo. Questo problema è sparito».

Quindi un 2023 che ancora deve dirci molto di te.
«Sono ancora molto fresca, ho corso poco rispetto alle altre ragazze italiane. Mi sento ancora all’inizio. In pratica la mia stagione inizia adesso. Sono molto curiosa di vedere cosa potrò fare tra uno o due mesi. Ho ancora tempo: le ultime gare di Coppa del Mondo saranno a ottobre. Posso far vedere quanto valgo».

Una che sta facendo vedere il suo valore è Martina Berta.
«Io e Martina siamo davvero grandi amiche, abbiamo corso due anni insieme ma siamo rimaste amiche. Durante il mio periodo no mi ha scritto tante volte, abbiamo parlato tanto, ci siamo confidate. Mi ha aiutato a superare i momenti brutti».

Greta Seiwald in azione con la maglia azzurra della Nazionale (foto: Federazione Ciclistica Italiana)

Hai anche pensato di lasciare?
«Quello no. Mai».

Nell’ambiente della mtb c’è più rivalità o più amicizia?
«Dipende. Per me l’amicizia è più importante della competizione. Non quando siamo in gara, ovvio. Siamo atlete e siamo tutte competitive. Ma l’amicizia per me è fondamentale. Quando passo l’arrivo sono contenta per tutti. Quando in Val di Sole ho sentito che Martina era arrivata seconda è stato bellissimo. Ho subito messo da parte la mia gara, la mia caduta, tutto. Ero felice per lei». 

A proposito di Val di Sole e di cadute: tua madre era lì?
«Quando sono caduta c’era Sonia, la mia mamma. Era venuta a vedere la gara. E mi ha visto cadere. Da mamma, mi è corsa subito in aiuto, è passata sotto le fettucce, è venuta vicinissima a me. Ma io ero dentro al percorso e lei pure. Così mi sono rialzata. Non sapevo bene cosa fare. Ho preso la bici e sono andata avanti. Subito. Volevo farla calmare, volevo farle vedere che stavo bene».

I tuoi genitori si sono mai stupiti della tua tenacia?
«Forse, ma non me l’hanno mai detto».

Sono loro che ti hanno avviato alla mtb?
«Ho due fratelli, Jonas e Thomas, uno più piccolo e l’altro più grande. Abbiamo sempre fatto tutto insieme. Andavamo sugli sci, discesa libera. D’inverno lo sci, d’estate la mtb. E giocavamo a calcio».

Anche tu?
«Certo. Ma dopo un po’ cresci e devi passare a giocare con le ragazze. Per quello ho smesso. Non mi piaceva. Giocavo a centrocampo, facevo anche gol. Ero abbastanza brava, volevano che continuassi a giocare con le ragazze. Il primo allenamento però è stato un disastro: non vedevano gli spazi, io ero più veloce. Un disastro».

E allora ecco la mtb.
«L’amore a prima vista è stato con la maglia della mia primissima squadra. Ero alle elementari, bisognava scegliere uno sport. Calcio era pieno, così mi sono buttata sulla bici. Al ritrovo mi ero presentata con una t-shirt normale, la prima che avevo trovato nell’armadio. Gli altri ragazzini erano vestiti tutti con la stessa maglia. Era gialla, bellissima. Quando sono tornata a casa ho detto: “Anch’io ne voglio una così”. Infatti ce l’ho ancora. I miei genitori la tengono a casa, in un cassetto, ogni tanto la vado a rivedere».

Come stai vivendo il rapporto con la maglia azzurra?
«Mi è dispiaciuto non essere tra le convocate, però me lo aspettavo. Non me lo meritavo per i risultati ottenuti fin qui. Ho parlato con il ct Celestino. Mi ha spiegato i motivi, e sono d’accordo con lui. Mi ha detto di dimostrare il mio valore. Gli ho fatto vedere qualcosa a Chies d’Alpago. Ora devo far vedere qualcosa all’Italiano. E se non gli basta gli farò vedere ancora di più».

Un solo obiettivo in testa: quale?
«Parigi 2024 ovviamente».

Che cos’è l’Olimpiade per te?
«Ho la pelle d’oca, guarda (e alza il braccio ndr). Per ogni atleta i Giochi sono qualcosa di magico. Non so come sono, non so come saranno. Me li immagino come un sogno. Ma che si avvera. Però l’Olimpiade non è solo il mio: siamo cinque ragazze con lo stesso sogno. E’ brutto da dire, ma è così: per tre di noi il sogno non si avvererà. Intanto io continuo a sognare, mi dà la motivazione per andare avanti».

Dai sogni alle ossessioni: quanto conta il setup della bici?
«Tutti i meccanici con cui ho lavorato vi diranno la stessa cosa: io sono ossessionata dai freni. Quando una leva non è uguale all’altra vado fuori di testa. Devono avere la stessa pinzatura, la stessa lunghezza. Devono essere uguali. E me ne accorgo subito. Lo sento, sento che un freno è più vicino o lontano. Dico: “No, così non riesco”. Se i freni non sono uguali non faccio il percorso. D’altra parte, se non ti senti bene sulla bici non vai. Anzi, vai ma potresti andare meglio».

Conta più la tecnica o il talento?
«Le forme di talento possono essere tante. Ma un talento è anche questo: la capacità di allenarti. Puoi avere un talento fisico, essere più alto, avere più muscoli, ma se non ti alleni bene, se non hai il talento di allenarti bene, il resto vale poco».